Per registrarti all’evento, clicca qui
Il vero sapere, spiega il filosofo Giulio Giorello, somiglia a Ulisse: «Un poeta che ha il coraggio di navigare sotto costellazioni diverse da quelle dei pregiudizi conosciuti». Ed ecco dunque l’obiettivo: «Stipulare una sorta di nuovo patto, un’inedita alleanza tra chi sviluppa la conoscenza fin quasi al confine delle capacità del nostro pensiero e chi nutre una testarda volontà di comprendere i segreti della filosofia e dell’arte» . Un patto, insomma, tra lo scienziato e l’artista. Un esempio di «cultura politecnica».
Nell’italianissima accezione del miglior umanesimo, che viveva di sintesi tra saperi diversi, secondo la lezione di Piero della Francesca (straordinario matematico, oltre che grande pittore), il Bramante, Leon Battista Alberti, Leonardo e così via continuando, sino al corso controverso del Novecento, quando le conoscenze umanistiche e quelle scientifiche si separano e si afferma l’intollerabile vulgata delle «due culture». Adesso, invece, quei saperi vanno ricomposti. Per dare risposte alla complessità della Grande Crisi, che ha messo in discussione i tradizionali paradigmi della produzione, dello scambio, del consumo, e impone di trovare una migliore sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo economico.
È questa, infatti, la nuova sfida della cultura d’impresa. Avere una strategia di scoperta di nuovi punti di vista, di originali modi di costruire ricchezza e lavoro. Acquisire dimestichezza con i processi tipici della ricerca scientifica (fare ipotesi, trovare conferme, sottoporle alla «prova dell’errore», andare avanti verso nuove sintesi e così via all’infinito). E impegnarsi nei processi di produzione di beni e servizi con l’occhio vigile al cambiamento, alla trasformazione, ai nuovi equilibri. Cultura d’impresa come cultura della metamorfosi. Servono, lungo questa strada, ingegneri, chimici, fisici, biologi, matematici, ben più numerosi di quelli che l’università italiana sforna ogni anno (le imprese italiane avrebbero bisogno di altri 40.000 laureati «tecnici» e «nell’area tecnica un mismatch tra domanda e offerta su base nazionale arriva per alcuni settori dell’industria al 25% delle assunzioni possibili»).
Ma anche filosofi capaci di decrittare la complessità. E umanisti in grado di lavorare con i segni dell’arte contemporanea, che individuano il mutare delle relazioni, dei bisogni, dei sogni, dei loro simboli. Servono, in altri termini, ingegneri filosofi, proprio come la migliore cultura italiana è stata tradizionalmente in grado di offrire alle proprie imprese, ai laboratori di ricerca, ai mercati, al mondo. È questo il senso, d’altronde, della scelta fatta da tempo dai Politecnici di Milano e Torino, scuole d’eccellenza per formare classe dirigente, di avviare dei sofisticati corsi di filosofia e di collaborare, per esempio, con imprese e fondazioni scientifiche e con una grande istituzione culturale come il Piccolo Teatro di Milano, per una serie di iniziative battezzate Teatro Scienza. Indagine sulla conoscenza. E rappresentazione. Ci sono d’altronde proprio parole che rivelano le sorprendenti sinergie: «laboratorio», si dice, per parlare di teatro, di università, di centri di ricerca nelle strutture di formazione e in quelle di produzione.
Il laboratorio del Piccolo. Il laboratorio del Politecnico. Il laboratorio del la Pirelli. Realtà che hanno dialogato e dialogano ancora. Ci sono altri buoni esempi, da ricordare. Il Festival della Scienza a Genova, curato da Vittorio Bo e arrivato, nel 2014, alla 12° edizione, un successo di consensi culturali e di gradimento del pubblico (moltissime, le scuole coinvolte). O Open M, il nuovo Centro per la conoscenza e la cultura voluto, in un’ex fabbrica alla periferia di Bologna, da Marino Golinelli, imprenditore farmaceutico colto e sensibile alle relazioni tra scienza e arte: «Un futuro open mind, dalla scuola all’impresa»11. E tante altre iniziative ancora. Pensare, progettare, fare, raccontare. In questo senso va intesa l’innovazione. Che non significa nuova tecnologia. Ma innanzitutto nuovo pensiero, nuovo punto di vista, nuove relazioni di senso e rappresentazione. Un pensiero che elabora anche tecnologie e se ne serve. Intelligenza. E strumento. Mestiere da ingegneri filosofi, appunto. E da conseguenti costruttori. Un Ulisse politecnico.
*Antonio Calabrò, direttore Fondazione Pirelli e vicepresidente Assolombarda
La morale del tornio. Cultura d’impresa per lo sviluppo
di Antonio Calabrò
Università Bocconi Editore
232 pp., 16,50 euro