Il focus group che si è svolto ieri pomeriggio nella sede di Cassa di Risparmio del Veneto a Padova con sette delle aziende “Champion” individuate dall’analisi del Centro Studi Veneziepost, ha rivelato una realtà che raramente viene raccontata dai media, e che continua a stupire anche il folto gruppo di super esperti che erano presenti (Stefano Micelli, Paolo Gubitta, Romano Cappellari, Marco Bettiol, Diego Campagnolo, Riccardo Dalla Torre, Luca Se Pietro) e che da anni studiano le dinamiche del nostro tessuto imprenditoriale.
“Siamo stati inclusi tra i Champions con fatturato tra i 20 e i 120 milioni un anno fa – dice Simone Quinto, CFO della veronese Uteco Converting, leader nella produzione di macchine per la stampa offset e flessografica – ma già oggi siamo a 130 milioni e viaggiamo verso i 140″. “La nostra realtà- aggiunge Quinto – è un caso di restart aziendale di successo, con un’impresa rilevata da una situazione fallimentare da un’ imprenditore di provata esperienza, che ha voluto al suo fianco un gruppo di manager che ora sono anche gli azionisti”. Scelta inconsueta a Nordest, ma che si è rivelata vincente. Uteco passa infatti nel giro di pochi anni da 54 milioni di fatturato (nel 2009) ai 130 milioni attuali, con una redditività del 15% ed una solidità finanziaria invidiabile (tratto comune a tutti i Champion, peraltro). “Ora l’interrogativo è come gestire questa crescita”. Un “problema” che si pone anche TRACONF, leader nell’outsourcing logistico dei più grandi marchi del lusso, un’azienda che a Parigi e Londra fornisce anche sette volte al giorno i templi del lusso. “Riusciamo a farlo perché abbiamo un’attenzione maniacale verso il cliente, logica che non appartiene ai grandi gruppi della logistica (dai quali peraltro Traconf ha appena acquisito un’intera divisione, in Francia). “La sfida è progettare la crescita mantenendo gli stessi standard qualitativi del servizio che ora ci differenziano da qualsiasi altro operatore “. Tema sul quale ritorna, in chiusura dell’incontro,il prof. GIovanni Costa, sottolineando come il dibattito grande-piccolo rappresenti un approccio superato, occorre individuare la “dimensione adeguata” in relazione alla nicchia di mercato in cui l’azienda si colloca. “Crescere per fare meno redditività o fermarsi per incapacità di crescere sono entrambe scelte sbagliate – afferma Costa – Non facciamo scelte ideologiche e guardiamo concretamente, caso per caso, compiendo scelte conseguenti”
Interrogativo non banale, come altrettanto centrale resta il nodo della managerializzazione e dell’apertura della governance nelle aziende.Evidente infatti che, per aziende perlopiù familiari, ormai al limite della capacità di gestione di “un solo uomo al comando”, il tema dell’innesto di competenze adeguate diventa centrale. E se nel caso di Giorgio Polegato, Presidente di A.C. (Astoria Wines), azienda che vede in lui e nel fratello i leader, si punta a far crescere la seconda generazione, Claudio Feltrin del Gruppo Arper sottolinea il ruolo chiave che alcune figure professionali, nella fattispecie l’AD e il DG recentemente nominati, hanno assunto in una realtà via via più complessa e in espansione nella crescita così incalzante del gruppo. Un percorso che Sandro Boscaini di MASI, dopo aver inserito come amministratore delegato Federico Girotto, allarga anche ai temi della finanza. “Abbiamo allargato inizialmente la compagine azionaria al fondo Alcedo proprio per affrontare questo tema dell’azienda familiare – racconta Mister Amarone – e ora siamo entrati in Borsa non perché avessimo bisogno di liquidità (anzi ndr) ma con l’obiettivo di costruire le condizioni per permettere alla prossima generazione di decidere liberamente se restare in azienda o compiere altre scelte”. Un tema che Feltrin, che sta guidando l’azienda di famiglia, riassume con una battuta “Il cognome, di per se, non è garanzia di continuità aziendale”.
Ma come crescono queste aziende? “Secondo due direzioni – ha sottolineato Caterina Della Torre che ha guidato la ricerca sulle 100 aziende Champion. C’è una spinta endogena molto forte, supportata spesso da una strategia di integrazione verticale che assicura flessibilità e controllo totale dei processi, alla quale si accompagna in diversi casi una crescita per linee esterne, secondo un criterio di prossimità di prodotto e di mercato, sempre però con un’ approccio molto prudenziale”.
Esemplare in questo senso il caso raccontato da Francesco Battistella del Gruppo Amer. “I nostri clienti – dice – ci chiedono la totale garanzia sul prodotto che forniamo. Per questo, per esempio nel caso della componentistica elettronica, abbiamo scelto di sviluppare tutto in casa, tramite una azienda specializzata. Così siamo certi sia del risultato, ma questo ci permette anche di sviluppare prodotti e processi che ci garantiscono la competitività”
Battistella introduce così un altro tema caldo, ovvero gli investimenti in 4.0. “Stiamo investendo 10 milioni e saremo tra i pochissimi e tra i primi in Italia che tra due mesi avranno una vera fabbrica 4.0. L’abbiamo progettata e sviluppata in larga parte in casa, per essere in grado di fornire prodotti fortemente customizzati ai nostri clienti”. “Sui motori elettrici non inseguiremo il settore dell’automotive – aggiunge – ma preferiamo consolidare la crescita su nicchie di mercato dove la marginalità potrà continuare a rimanere alta”.
Aziende che sviluppano marginalità e riserve di liquidità così importanti, apparentemente potevano sembrare fuori posto in casa di una banca. E certamente se queste aziende hanno bypassato la crisi è stato anche perché, quando i mercati hanno iniziato a segnare il passo e le quote di mercato a ridimensionarsi, la struttura patrimoniale di queste imprese era solida e l’assetto finanziario non ha risentito dei cali di fatturato. Unanime del resto il parere che l’emergere di queste aziende pone una nuova sfida reciproca a banche e clienti. Renzo Simonato, direttore generale di Cariveneto, sintetizza egregiamente il pensiero comune: “E’ proprio con aziende come queste che va affrontata la sfida più grande che oggi si pone all’intero sistema bancario, che va ripensato in un’ottica di partnership reale costruita sulle necessità di servizi di alto livello delle aziende. Dall’affiancamento nei processi di internazionalizzazione, ai servizi IT, alla semplificazione dei processi nel credito. Crescere in questa direzione assieme alle aziende è l’obiettivo che una grande banca globale oggi deve perseguire.
Una sfida raccolta subito da Pietro Delaini, Presidente del Campeggio Bella Italia di Peschiera, una struttura turistica con 20 milioni di fatturato e 10 di ebitda. Delaini, che è in realtà a capo di una serie di strutture turistiche (campeggi, hotel, villaggi turistici) che fatturano quasi 70 milioni e con un ebitda che ha confermato essere sempre del 50%, pone un interrogativo che sembra essere una proposta “le banche sono cariche di immobili nel settore turistico difficili da realizzare. Perché, per farle rendere, non le affittano ad operatori che, con il sostegno di qualche fondo, le riportano in vita? Intanto incasserebbero canoni e poi, una volta rilanciate, sarà per loro anche più facile venderle”.
A chiusura di un pomeriggio che è stata una vera full immersion di strategia, management e cultura aziendale, infine, il commento di Gilberto Muraro, Presidente di Cariveneto, sul tema della crescita. Sollecitato dall’uscita dei dati, ancora positivi, della produzione industriale a luglio Muraro non si è del tutto sbilanciato: “La crescita c’è, ma ci sono ancora nuvole all’orizzonte”. Più ottimista la visione di Boscaini: “A giudicare dall’impossibilità di trovare manodopera la crescita c’è, eccome. Ma – ha aggiunto il patron della Masi – i problemi del Paese sono irrisolti e rimangono la vera ancora che ci impedisce di decollare definitivamente”.