Un bambino che muore di otite dopo che il suo medico di famiglia gli ha prescritto una cura a base di farmaci omeopatici, il crollo della percentuale di bambini vaccinati che costringe la politica a ripristinarne l’obbligo al fine di evitare epidemie di morbillo o di altre malattie, con annessa insurrezione delle famiglie anti-vacciniste e polemiche interministeriali sul diritto allo studio. Benvenuti in Italia, nel 2017. Un Paese che ha più di un problema con la scienza e che questi due ultimi episodi di cronaca, entrambi relativi alle ultime settimane, non hanno che certificato: «Il corto circuito tra conoscenze scientifiche, decisioni politiche e comportamenti non è, purtroppo, notizia di oggi», spiega a Linkiesta Elena Cattaneo, farmacologa, biologa e divulgatrice scientifica di fama mondiale, nominata Senatrice a vita a soli cinquant’anni, nel 2013, dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Come mai questo corto circuito, Senatrice? Perché gli italiani si fidano così poco del sapere specialistico, in particolare di quello scientifico?
In generale, siamo portati a non fidarci di ciò che conosciamo poco. La scienza, con le sue formule e i suoi nomi impronunciabili, spesso non è immediatamente comprensibile, ha un linguaggio e un tipo di comunicazione sempre volti al domani, antepone alle conquiste il rischio di fallire, non ha tempi certi né garanzie assolute, non usa scorciatoie effimere e mira a guadagnare pezzi di conoscenza validi per sempre. I tanti venditori di fumo, come lo fu Vannoni (il comunicatore di massa inventore del metodo Stamina, privo di alcuna valenza scientifica, per la cura delle malattie neurodegenerative, ndr) sono invece prima di tutto esperti della comunicazione dell’oggi, prospettano soluzioni immediate, scorciatoie mirabolanti quanto inesistenti, perché sanno che è da lì che bisogna partire per ammaliare e vendere le loro truffe.
Colpa dei media che gli danno spago, quindi?
Non solo. Questo è un problema che la comunità scientifica deve porsi e affrontare in fretta. Essere più presente nel dibattito pubblico è il primo passo. La scienza non può credere che il proprio compito si concluda quando viene validata una nuova scoperta, al contrario, è il lavoro di condivisione pubblica che rende quella conquista utile ed efficace.
A schierarsi a favore di Stamina, oltre a trasmissioni televisive e personaggi pubblici furono anche le forze politiche, non solo il Movimento Cinque Stelle. Addirittura, il 15 maggio 2013 fu approvato all’unanimità l’avvio della sperimentazione clinica del trattamento Stamina dalla Commissione affari sociali della Camera dei Deputati, ratificato poi da entrambi i rami del Parlamento…
Certo, anche le istituzioni hanno la loro responsabilità. La mia esperienza in Senato mi ha insegnato che, benché esista una parte della politica curiosa di imparare e comprendere la scienza, conscia della sua importanza nel momento di prendere decisioni che riguardano i cittadini, per alcuni temi mi trovo di fronte a una barriera. Ai fatti scientifici, pur nella loro ovvietà e immediatezza, viene impedito di fare breccia. La fiducia nella scienza deve nascere prima di tutto all’interno delle istituzioni. A loro spetta trasmetterla alla società, affiancati da una corretta divulgazione scientifica, anche attraverso decisioni drastiche come la reintroduzione dell’obbligo delle vaccinazioni.
A proposito, che ne pensa? Secondo lei è giusto impedire l’accesso a scuola ai bambini non vaccinati?
Trovo assurdo che nel 2017 si debba ancora spiegare l’efficacia dei vaccini. E, di fronte ai moniti dell’Oms e al calo delle percentuali di bambini vaccinati, condivido la scelta di tornare all’obbligatorietà, pur consapevole che si tratta di un fallimento. In alcuni Stati funziona bene la strategia che prevede di responsabilizzare il genitore che non vuole vaccinare il proprio figlio: può farlo ma le responsabilità civili e penali in caso di trasmissione ad altri di patogeni o malattia sono sue. Purtroppo la nostra memoria collettiva sembra aver dimenticato le storie raccontate dai nostri nonni. Nel mondo occidentale la vita media supera ormai gli 80 anni, un secolo fa era di 47. Alcune delle cause principali di morte erano malattie che i genitori di oggi non hanno mai visto perché scomparse da noi grazie ai vaccini. Pensiamo alla poliomielite, da quanto tempo non capita più di vedere bambini con gli arti deformati da questa malattia? Quanti, invece, purtroppo se ne vedevano negli anni 50 e 60?
La cosa curiosa è che mentre siamo scettici nei confronti della scienza, siamo piuttosto “creduloni” con teorie e pratiche parascientifiche, nonché con tutto ciò che suona alternativo al senso comune…
Si tratta di “miti” e il mito per sua natura attrae. La scienza è un’altra cosa. È numeri, fatti, dati verificati a più mani, visibili, pubblici, accertati. Non esiste la medicina “alternativa” semplicemente perché di alternativo alla scienza, cioè a fatti validati, c’è solo la non-scienza.
Che su internet, però, fa proseliti…
La maggiore possibilità di informarsi autonomamente, se da un lato è un fatto positivo perché permette una diffusione più ampia delle conoscenze, dall’altro ha modificato il ruolo di sentinella di figure come il medico o il farmacista prima considerati il punto fermo a cui rivolgersi per ogni necessità. Con in più i rischi che la buona informazione venga facilmente confusa con la cattiva. E non parliamo solo di medicina.
Ad esempio, lei se l’è presa spesso contro la cattiva informazione sull’uso degli organismi geneticamente modificati in agricoltura o sulla mitizzazione di frutta e ortaggi biologici…
Ognuno ha il diritto di scegliere cosa coltivare, vendere e consumare, ma non si può prescindere dalla correttezza. Parliamo di biologico: si tratta di prodotti che coprono il 3% del fabbisogno, elitari, descritti come prodotti di successo e con vendite in aumento del 20%, il che significa passare dal 3% al 3,6% dei consumi. Ebbene, tabelle e numeri dicono che dal punto di vista nutrizionale sono pressoché identici agli alimenti tradizionali e, in quanto a sicurezza, addirittura alcuni prodotti come carote e pomodorini biologici contengono sostanze quali rame e nitrati in quantità superiori rispetto a quelli non bio. Questo è l’esito di un’inchiesta di Altroconsumo, l’associazione dei consumatori, in cui si proponeva un’analisi dei prodotti ottenuti da agricoltura biologica, confrontandoli con quelli da coltivazioni tradizionali. I risultati dell’inchiesta, condotta su campioni di frutta e verdura venduti nella grande distribuzione alimentare, sono stati pubblicati l’1 settembre 2015. Vista l’assenza di differenze, perché far pagare i prodotti biologici tra il 75% ed il 101% in più? E in considerazione di questo colpisce anche la decisione del governo di promuovere e diffondere l’utilizzo di prodotti biologici nell’ambito dei servizi di ristorazione scolastica attivando mense “bio” con addirittura 44 milioni di euro dallo Stato. Rimane un mistero perché il marketing del biologico venga così sponsorizzato dalle istituzioni.
Come mai, secondo lei?
La ritengo una scelta ideologica, così come è ideologico il muro da sempre opposto contro gli Ogm. Mi chiedo se sarà mai possibile coltivare in Italia mais geneticamente modificato. Un prodotto che la scienza ha dimostrato essere sicuro per ambiente e salute ma che dalla nostra classe politica è da sempre additato come una sorta di “frutto del demonio”. Intanto il nostro mais è scadente e attaccato da patogeni scarsamente debellati da cicli di pesticidi. Il risultato è che viene in gran parte buttato. E la nostra bilancia commerciale sprofonda dovendolo importare dall’estero – rigorosamente Ogm – per nutrire i nostri allevamenti da cui otteniamo i buonissimi prodotti made in Italy, tutti a base di derivati Ogm. Insomma, li mangiamo ma non li studiamo. Li importiamo ma non li coltiviamo. Non c’è nulla di normale in tutto questo.
Qualcuno ci prova a sfidare questa anomalia. A proposito, che ne pensa di chi, come il prof. Burioni, usa i social network per sfidare apertamente chi diffonde miti e credenze anti-scientifiche, talvolta con toni molto accesi. È d’accordo con questo tipo di approccio? O ritiene possa essere controproducente?
È ciò di cui la scienza ha bisogno. Dobbiamo parlare lo stesso linguaggio dei cittadini, andare a cercare e stanare i ciarlatani dove hanno maggiore spazio di azione, vale a dire internet e gli altri luoghi di dibattito pubblico. Io non uso Facebook, né ho un profilo su Twitter o su altri social network, ma non per questo li considero inutili. Sono i luoghi dove la disinformazione corre più veloce e più rapidamente va stanata e bloccata. E allora ben venga Burioni e i suoi lunghi post con migliaia di like e condivisioni. La buona informazione può solo far del bene. Nanni Bignami, astrofisico di fama mondiale scomparso all’improvviso una settimana fa, era un grande divulgatore scientifico, pur senza essere sui social. Non importa quale sia lo strumento per veicolare il messaggio, l’importante è che sia chiaro e che arrivi al cittadino.
Lei recentemente ha anche proposto ai media di seguire l’esempio della Bbc, nel richiedere opinioni scientifiche solamente a scienziati accreditati. Ci può spiegare a cosa si riferisce?
L’informazione sui media tradizionali richiede un’attenzione massima. La tv non è un salotto dove chiunque può “sparare” la sua opinione come se si trovasse al bar, almeno non su alcuni temi come quelli che riguardano la salute. L’effetto che si ha sul pubblico deve essere valutato non solo in termini di share ma, con responsabilità, anche in termini di rischi. Durante i mesi in cui è scoppiato il caso Stamina, ad esempio, mentre la comunità scientifica insorgeva, anche in quel caso allibita di come nessuno volesse prestarle ascolto, non si contano i servizi televisivi e le inchieste trash che facendo leva su compassione e pietà mostravano immagini di malati a cui veniva negata, da noi studiosi spesso di quelle stesse malattie, una “cura”. In realtà quello a cui, a fatica ma senza alcun ripensamento, ci siamo da subito opposti era una truffa operata sulla pelle di gente disperata. I fatti di oggi parlano chiaro. Ricordare quei mesi e ripensare a come alcuni media hanno trattato colleghi impegnati solo a fare chiarezza nell’interesse dei cittadini mi fa ancora male. È questo il motivo che mi ha spinto a dire che servirebbe un intervento in grado di evitare certe deviazioni e distorsioni della realtà. In Senato, nella relazione finale dell’indagine conoscitiva su Stamina della Commissione Sanità abbiamo proposto l’adozione di linee guida, vincolanti per il servizio pubblico e d’indirizzo per l’informazione privata, simili a quelle introdotte dalla Bbc dal 2014. L’obiettivo è garantire alti standard di imparzialità ed accuratezza nella comunicazione scientifica anche prevedendo elenchi di esperti accreditati.
*Linkiesta, 5 giugno 2018