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Ministra, siamo a una battuta d’arresto per le autonomie?
«Ma che dice?».
Erika Stefani, la ministra per gli Affari regionali e per le Autonomie, da oltre otto mesi vive immersa nella trattativa serrata per le forme di autonomia differenziata chieste da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna.
La data del 15 febbraio era molto attesa per l’approdo in Consiglio dei ministri degli accordi con le Regioni. Ma l’accordo su questi testi ancora non c’è. Non è così?
«Guardi, io credo che la data di ieri [14 febbraio ndR] me la segnerò nei miei personali annales. Ieri si è ufficialmente chiusa la trattativa tecnica sull’autonomia. Ha richiesto 85 incontri serrati, alcuni dei quali durati otto ore. Abbiamo trattato su 23 materie per due Regioni e su 15 per l’Emilia. Abbiamo costruito la parte finanziaria e portato sul tavolo i temi chiusi. Ora, restano da affrontare alcuni nodi politici. Per dirla in un altro modo: abbiamo ben chiaro quello che si può fare, ora bisogna verificare quello che si vuole fare».
La giornata è anche passata alle cronache per il dossier dei 5 stelle che critica parecchi aspetti dell’impianto della riforma.
«Sì, ho letto anch’io di questa nota che non aveva né una firma né un padre. Ma ho letto anche la presa di posizione del collega del Movimento 5 stelle Federico D’Incà il quale ha ricordato che loro in Veneto hanno votato per il Sì e che i dossier fatti uscire servono soltanto a provocare rotture nel governo. Io preferisco le dichiarazioni firmate».
Al di là del dossier, il tema riguarda l’emendabilità degli accordi da parte del Parlamento. I testi sono emendabili oppure no?
«Io penso che sia del tutto corretto che su un tema di questa portata ci sia un coinvolgimento del Parlamento. E sono assolutamente a disposizione perché questo coinvolgimento avvenga».
In che senso?
«Io non so se l’intesa sia emendabile: sono dell’opinione che non lo sia. È lo stesso tipo di questione che esiste per i trattati internazionali o per gli accordi con le confessioni religiose. Detto, questo se esistono interpretazioni giurisprudenziali diverse, siamo pronti ad ascoltarle. Ma in ogni caso, prima della firma dell’intesa noi siamo assolutamente pronti al confronto con il Parlamento. Anche perché siamo convinti che l’autonomia spaventi soltanto chi non la conosce».
C’è chi dice: l’obiettivo dei 5 Stelle è quello di rinviare le autonomie a dopo il giro di boa delle europee. Lo pensa anche lei?
«Se questa fosse la volontà, credo non sarebbe leale. Tutti i temi del contratto di governo, anche i più complessi, li abbiamo sempre affrontati e poi risolti».
Anche in Forza Italia ci sono delle perplessità.
«Io ricordo che quando facevo campagna elettorale per il sì all’autonomia, c’erano anche i 5 Stelle, Forza Italia e il Partito democratico».
Beh, il governatore toscano Enrico Rossi oggi parla della divisione dell’Italia in «tanti staterelli».
«Ma per piacere… Guardi, la maggior parte delle questioni sono puramente amministrative. Peraltro, noi abbiamo seguito esattamente lo stesso impianto logico che era alla base della preintesa firmata dai governatori con il governo Gentiloni».
I 5 stelle parlano anche di finanziamento delle Regioni sulla base del loro gettito.
«Ed è assolutamente falso. Credo sia un’opinione che nasce da chissà quale vecchio testo… Sulla base dell’impianto concordato con il Mef sarà chiaro che non è così: per le nuove competenze regionali si parte con la spesa storica il cui ammontare te lo trattieni dalle tasse che raccogli. Per lo Stato, saldo zero».
Ci sono regioni che potrebbero essere preoccupate per la definizione dei cosiddetti fabbisogni standard. Hanno torto?
«Ma sì. Il determinare una spesa pubblica è lo stabilire un livello di efficienza sulla base di indici e parametri. Non è una cosa a danno di una Regione piuttosto che di un’altra».
*Corriere della Sera, 15 febbraio 2019