Piero Martin e Alessandra Viola sono i due autori di “Trash. Tutto quello che dovreste sapere sui rifiuti” (Codice Edizioni, 2017), quest’anno in lizza per il Premio Galileo insieme a Stefano Mancuso, con “Plant revolution”, Marco Malvaldi con “L’architetto dell’invisibile”, Gabriella Greison, con “Sei donne che hanno cambiato il mondo” e Anna Meldolesi con “E l’uomo creò l’uomo. Crispr e la rivoluzione dell’editing genomico”. “Trash” è un viaggio divertente ed estremamente documentato nel mondo dell’immondizia con cui abbiamo riempito il pianeta, e non solo: dalle palline da golf lasciate sulla Luna alle scorie chimiche ammonticchiate vicino alle cascate del Niagara. Ne parliamo con Piero Martin, docente di Fisica sperimentale al dipartimento di Fisica e Astronomia “Galilei” dell’Università di Padova.
Professore, il libro racconta anche la storia di un concetto. Come si è evoluta l’idea di rifiuto?
«Il concetto è insito nella natura umana, a partire dai nostri rifiuti fisiologici, le deiezioni. Ma nel corso del tempo tutto è cambiato: il cambio di prospettiva avviene in buona sostanza nel dopo guerra, quando iniziamo a produrre un rifiuto che dura molto più di noi: la plastica. Che in realtà è un materiale nobilissimo, basti pensare che gli ospedali moderni non potrebbero funzionare senza. Ma finora ne abbiamo accumulato più di otto tonnellate, e va trovata una soluzione».
I rifiuti possono mettere a repentaglio lo sviluppo sostenibile?
«Purtroppo sì. Produrne è un processo connaturato alla storia dell’uomo, il problema oggi è che ne stiamo accumulando una quantità gigantesca. Sono una bomba ad orologeria, che rischia di mettere a repentaglio il futuro di chi verrà dopo di noi».
Il senso del libro, però, è che possono essere anche una risorsa. Quali sono i più preziosi?
«Prima di tutto, quelli che non ci sono. Nel senso che la nostra prima emergenza è produrne meno: tante cose non dovrebbero diventare un rifiuto semplicemente perché potremmo fare a meno di usarle, pensiamo agli imballaggi eccessivi o all’energia derivante da fonti fossili. Poi ci sono rifiuti che in sé hanno un valore molto elevato, ci sono addirittura materie definibili “prime seconde”. Il riciclo della plastica è utilissimo, ed anche quello dell’umido. Ricordo una ricercatrice catanese che ha escogitato un modo per riciclare gli avanzi della spremitura della arance, ora usate nella moda per produrre tessuti».
*Il Mattino di Padova, 17 maggio 2018