La proposta leghista di introdurre una flat tax per le famiglie viene cestinata dagli uomini del Movimento 5 stelle e bollata come «propaganda elettorale». Le ragioni della bocciatura risiedono nei costi della misura anticipata ieri su La Stampa: tra i 25 e i 59,3 miliardi di euro. Una misura impossibile da attuare. O come punge Luigi Di Maio: «Una promessa alla Berlusconi». Il compromesso però si troverà, assicura il leader M5S, che rilancia la proposta di «ridurre gli scaglioni e la pressione fiscale attraverso il coefficiente familiare». Una misura ricalcata sul modello francese, inserita da entrambe le forze nei loro programmi elettorali e poi scomparsa durante la scrittura del contratto di governo.
Secondo una simulazione del ministero dell’Economia dell’8 febbraio scorso, la flat tax per famiglie targata Lega, con una prima aliquota al 15% fino a 80mila euro e una seconda aliquota al 20% per i redditi superiori agli 80 mila euro, avrebbe un costo di 59,3 miliardi di euro. Se invece la soglia delle aliquote fosse abbassata a 50mila euro – come proponeva ieri il leghista Armando Siri sulle pagine di questo giornale – il costo si aggirerebbe intorno ai 25 miliardi di euro. Comunque troppi.
Ambienti Cinque stelle fanno filtrare che anche gli uomini del Carroccio, tra cui il viceministro all’Economia Massimo Garavaglia e il sottosegretario a palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, avrebbero storto il naso rendendosi conto dell’impraticabilità della proposta. Ma una nota della Lega conferma la volontà di proseguire su questa strada (che secondo Siri costerebbe non 25 miliardi, ma tra i 10 e i 12). E Matteo Salvini, durante il tour elettorale in Basilicata, rilancia dal palco ulteriori interventi sul fisco, con la prossima legge di bilancio, per «entrare anche nelle case delle famiglie e dei lavoratori dipendenti italiani».
Potrebbe essere l’ennesimo terreno di scontro tra gli alleati, con Di Maio che insiste sul quoziente familiare. Gli esperti economici del Movimento si dicono convinti che sia possibile «prendere il coefficiente familiare introdotto con il reddito di cittadinanza e applicarlo all’Irpef. E volendo, anche ad un sistema come quello della Flat Tax». Il metodo di calcolo è complesso. «Numeri esoterici», li chiamerebbe il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Si può però semplificare, immaginando di sommare i redditi dei coniugi e di dividerli per il numero dei componenti della famiglia, applicando un coefficiente che aumenta tanto più è numeroso il nucleo familiare. Rispetto alla proposta leghista, gli scaglioni diventerebbero tre (e non più due), in modo da spalmare le spese per le casse dello Stato. Si partirebbe con una “No tax area” da allargare dagli attuali 8 mila euro ad «almeno 9360 euro». Fino a raggiungere, quindi, l’asticella di un anno di reddito di cittadinanza. Il primo scaglione dovrebbe invece riguardare i redditi dai 9360 euro ai 25 mila euro, con un’aliquota tra il 24 e il 25%. Il successivo scaglione arriverebbe fino ai 100 mila euro, con un’aliquota al 38%, da alzare al 43% per i redditi superiori ai 100 mila euro.
Anche qui, però, l’incognita delle coperture pesa come un macigno. I Cinque stelle ipotizzano di poter accorpare alcune voci di spesa ed eliminare delle detrazioni come quella per il familiare a carico (che verrebbe conteggiato già nel quoziente di base). Ma sarebbe poca cosa; i numeri pesanti ballerebbero ancora. Per questo sono state chieste al Mef simulazioni aggiornate sui costi della misura, da lanciare – nelle strategie pentastellate – all’interno della prossima manovra.