Secondo le ipotesi che circolano, il meccanismo dei rimborsi si baserà sulla riedizione dell’arbitrato, così come concordato da Tria con il Commissario Ue Vestager per stare in linea con le norme europee, prevedendo un sistema di rimborsi diretti per circa il 90% dei risparmiatori con Isee sotto ai 35mila euro, avvalendosi del concetto di emergenza sociale che eviterebbe di configurare gli indennizzi come aiuti di Stato. Il restante 10%, invece, dovrà essere sottoposto a «controlli» da parte della commissione istituita per le verifiche, poiché potrebbero essere potenziali speculatori o persone che volontariamente avrebbero acquistato azioni e subordinate.
Insomma, la soluzione adottata alla fine è stata quella definita dal ministro dell’Economia, che ancora ieri è stato sottoposto a un fuoco di fila di critiche e neanche tanto velate accuse da parte dei due partiti di governo, che nonostante le loro divisioni su questo punto convergono con entusiasmo. I due partiti vogliono alimentare la finzione che la crescita possa arrivare a quota 0,5%, mentre Tria nel prossimo Documento di economia e finanza intende scrivere +0,2%. «Io apprezzo la prudenza», dice il vicepremier Matteo Salvini ai giornalisti a margine di Vinitaly, ma ribadisce che «nel Def la riduzione fiscale dovrà essere sicuramente inserita». È sempre Tria il sospettato.
Il guaio è che il titolare del ministero di via XX Settembre, anche se volesse, non ha la possibilità di generare tutti i miliardi che i due partiti stanno promettendo a destra e manca in vista delle elezioni europee di fine maggio. Tria già deve trovare i 23 miliardi indispensabili per sterilizzare l’aumento delle aliquote Iva. Poi ne serviranno 7-8 per finanziare pienamente per il 2020 il reddito di cittadinanza e quota 100. Ancora, bisogna perfezionare le coperture per il decreto legge «crescita», approvato «salvo intese» (ovvero in versione non completa) nell’ultimo Consiglio dei ministri di giovedì scorso. Il tutto in un quadro di crescita praticamente zero, che si è mangiata la riserva di due miliardi che Tria aveva messo da parte.
A queste esigenze si aggiunge ora la richiesta della Lega di varare una simil flat tax con un’aliquota Irpef unica al 15% per i redditi familiari fino a 50mila euro. Ci vorrebbero 12-15 miliardi. E infine sia Lega che M5S hanno anche preparato un pacchetto di misure di sostegno alle famiglie da 3 miliardi.
Al Tesoro si pensa che varare queste misure senza contemporanei drastici tagli alla spesa o aumenti di altre imposte sia impossibile. «Tria rimarrà al suo posto», afferma il premier Giuseppe Conte. Intanto, i due leader della coalizione gialloverde continuano il loro duello. Matteo Salvini ieri ha lanciato un chiaro avvertimento agli alleati: «Abbiamo votato il reddito di cittadinanza, che non è nel dna della Lega, ora pretendiamo rispetto» sulla flat tax. «La flat tax non deve aiutare i ricchi – gli replica Luigi Di Maio – è necessaria una progressività». E dal capo pentastellato un’altra insidiosa stoccata al suo rivale leghista, stavolta sui campi Rom: «vanno chiusi – dice Di Maio – e non possiamo dire ai sindaci d’Italia occupatevene voi con le vostre risorse. Ma non le devo fare io da ministro dello Sviluppo Economico, lo deve fare il ministro dell’Interno».